Kristian Fabbri si è classificato terzo al XXIIº Concorso Letterario Guido Gozzano, (motivazioni) con i testi scritti per lo spettacolo “Altrove, in Memoria” portato in scena nel suggestivo cimitero storico di Capanne di Verghereto.
Si riporta una poesia
Dimenticai il mio nome
Dimenticai il mio nome
prima di tutti gli altri.
Dimenticai il nome delle stanze
la camera, dov’era il bagno e la cucina
la sedia, il tavolo
mi guidavano al posto
che dicevano essere il mio.
Ora siedo a pranzare
con la mia famiglia
o a cena, non ricordo:
era questo il mio posto?
Io, che ero sempre in piedi,
il piatto in mano, a cucinare
e servire a tavola, ora
sono seduta, servita.
Dimenticai il mio nome
e il numero dei miei figli
mi ripetevano nomi al sentire i quali
alzavo la testa
come a un richiamo, a un segno.
Scordai il giorno e la notte,
e, per ricordarmi il giorno dalla notte,
per ricordarmi delle stanze e delle cose,
spostavo piatti, vasi, cuscini
per portarli al loro giusto posto:
nel frigo, in bagno, in soffitta
perché li cercassero, in piedi anche loro,
da una stanza all’altra
persi dietro a nulla, al nulla, come me.
Dimenticai anche il cielo e
la terra; il mondo si dimenticherà di me
a mia memoria, il mio nome:
io,
ho ancora questa parola per dirmi, ora
ricordo che ero, per chi ero,
io, ero felice di imparare ancora, e
tu?
Tu che fiori mi porti?
Come ti chiami?
Quando arriva l’uva?
E la mamma?
MOTIVAZIONE KRISTIAN FABBRI
La silloge di Kristian Fabbri, «A memoria», in quest’autunno che puntualmente scivola verso l’imminente celebrazione dei defunti, ci riporta alle atmosfere romanticamente cimiteriali di Thomas Gray, Foscolo ed Edgar Lee Masters, ma con l’aggiunta di un tocco moderno e personale. Il luogo delle sepolture diventa letteralmente un «campo santo», territorio di trapasso fisico e metaforico, architettura d’incontro tra l’incontestabile finitudine del corpo e l’agognata continuità nello spirito di chi resta. Come nell’«Antologia di Spoon River», il ricordo del quotidiano ormai estintosi e le faccende rimaste in sospeso fanno irruzione nella terra che ancora non trova pace. Dalle tombe si levano quesiti, ora rivolti a chi vive, ora a chi regna su vivi e morti. Quesiti che smuovono e commuovono. Le risposte hanno differenti colori, quelli dei fiori a cui i sepolti non sanno e non vogliono rinunciare. Una sorta di « dimmi che fiore mi porti e ti dirò cosa sono stato per te». Le liriche sono racconti che hanno scelto la brevità del verso per orchestrare i molteplici punti di vista dell’autore e conferire una musicalità scattante al suo incessante rivolgersi a se stesso, a Dio, al lettore. Il finale è una spirale di corsi e ricorsi storici con cui Fabbri pare voglia fare i conti, annoverando nel bilancio anche la variabile pandemica che non ha fatto altro che aggiungere polvere ai tumuli sempre più bisognosi di tutta la nostra memoria emotiva. (Scritta da Gabriella Montanari)